Si dice che solo il 10% delle nostre capacità intellettive siano davvero sfruttate. Un'affermazione che talvolta viene attribuita ad Albert Einstein.
Secondo una teoria, abbastanza diffusa, sembrerebbe che gli esseri umani utilizzino solo una parte minimale, del proprio cervello.
Una storia che affonda le sue radici nel tempo, ma senza alcun fondamento scientifico.
La classica leggenda metropolitana che martellante si ripropone di tanto in tanto.
Rilanciata da qualche articolo o su qualche palcoscenico televisivo diviene il tormentone, la citazione sulla bocca di tutti e ci si sbizzarrisce nelle attribuzioni più improbabili.
Probabilmente fra la fine dell'estate e dicembre di quest'anno potrebbe nuovamente riaffacciarsi questa teoria infondata grazie ad un film di Luc Besson, Lucy.
Le origini di questa leggenda risalgono alla fine dell'ottocento quando diversi studi "scientifici" vennero condotti sul cervello nei suoi aspetti fisiologici e comportamentali.
In questo periodo dove ancora non si è fatta una netta distinzione fra scienze e pseudoscienza, dove la frenologia, la medicina olistica, la fisiognomica, ancora avevano un forte impatto. In questo terreno non propriamente scientifico nasce la teoria.
Non una singola teoria, ma alcune ipotesi teoriche vanno a formare le fondamenta di questa resistente leggenda metropolitana.
Tuttavia vi sono anche scienziati dagli innegabili meriti che per sviste o errori di interpretazione possono aver contribuito o favorito all'affermarsi di questa teoria.
È il caso ad esempio di Jean Pierre Flourens che sebbene abbia contribuito in modo sostanzioso a fondare alle scienze cognitive e abbia persino inventato le tecniche di anestesia, oltre ad essere stato fra i primi ad effettuare studi sul cervello, identificando la corteccia silente, potrebbe quest'ultima scoperta, aver indotto gli studiosi che dopo di lui se ne sono occupati che quest'area cerebrale non svolgesse alcuna attività.
Ormai ad un passo dalla 900 William James e Boris Sidis psicologi alla Harvard di university mostrarono alla comunità scientifica le straordinarie capacità intellettive del figlio di Sidis che manifestava un quoziente intellettivo con valori che sfioravano i 300 punti.
Dall'analisi di queste incredibili prestazioni i due azzardarono un'ipotesi (oseremmo dire azzardata, se non addirittura fantasiosa) in cui affermavano che ogni essere umano avesse una specie di deposito di energie mentali.
Affermando che facciamo uso solo di una piccola parte delle nostre risorse. La prima, corposa pietra alla costruzione della leggenda è stata posta.
La tesi venne poi ripresa a metà degli anni 30 del novecento da Lowell Thomas che nel suo "How to Win Friends and Influence People" che ribadisce il concetto espresso qualche anno prima, nel 1907 da William James, definendo in modo numerico la "piccola parte" del cervello che usiamo.
In molti in quegli inizi del novecento, tuttavia, presero in esame la teoria di due psicologi, corroborando la con altri dati ed informazioni.
Lo scienziato americano Karl Lashley portò avanti una serie di esperimenti volti a trovare una relazione fra la massa del cervello e le funzionalità.
Con una serie di esperimenti sui ratti arrivò alla conclusione, avendo osservato che i topi erano in grado di re imparare a svolgere compiti specifici nonostante avessero riportato danni alla corteccia cerebrale, che lo indusse a pensare che vi fossero delle aree inutilizzate del cervello.
Dopo la fine del secondo conflitto mondiale molti rami della scienza hanno subito una impressionante accelerazione.
Nuove tecniche di indagine, la competizione legata alla guerra fredda ha dato una forte spinta anche alle neuroscienze.
Nuovi strumenti sempre più sofisticati ci consentono di indagare con maggiore precisione nel profondo.
Oggi sappiamo che l'organo cerebrale, è un 50º dell'intera massa totale consuma da solo un quinto dell'intero fabbisogno energetico umano.
Già questo dato solo dovrebbe far pensare che milioni di anni di evoluzione non possono aver portato a conseguire risultati così scadenti dal punto di vista dei consumi, solo ed esclusivamente per lavorare a un 10% della sua potenzialità.
Insomma non c'è nessuna parte silente.
Una errore clamoroso che ha portato molti scienziati a cercare e a confutare qualcosa di infondato e inesistente. Non vi è alcuna parte del cervello che inattiva.
Tuttavia qualora non foste ancora convinti vi suggeriamo di riflettere sui sette punti enunciati dal neuroscienziato Barry Beyerstein che in modo abbastanza empirico dovrebbero dissolvere ogni dubbio.