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"Egli vedendo che osservavo attentamente una macchina che occupava la maggior parte della lunghezza e della larghezza della stanza, disse che forse mi meravigliavo di vederlo lavorare al progresso delle scienze speculative con l’ausilio di operazioni pratiche e meccaniche. Ma il mondo si sarebbe ben presto accorto dell’utilità di quel meccanismo, ed egli si lusingava che mai pensiero più nobile ed elevato fosse zampillato da mente umana. Ognuno sa infatti quanto laboriosi siano i comuni metodi per iniziarsi alle arti e alle scienze; con quell’invenzione, invece, l’uomo più ignorante con una spesa modesta e un po’ di fatica fisica poteva scrivere libri di filosofia, poesia, politica, diritto, matematica e teologia senza bisogno di essere minimamente aiutato dall’ingegno o dallo studio. Mi condusse poi alla macchina... La superficie risultava di vari pezzetti di legno, della grossezza di un dado da giuoco, alcuni più grandi degli altri; sottili fili di ferro li legavano insieme. Su ogni lato di questi cubetti v’era incollato un quadratino di carta, e su questi quadratini erano scritte tutte le parole del loro linguaggio nei vari modi, tempi e declinazioni, ma senza alcun ordine. L’accademico mi pregò allora di star bene attento perché avrebbe fatto funzionare il suo meccanismo. A un suo cenno, gli allievi afferrarono ciascuno una manovella di ferro e la fecero rapidamente girare; tutta la disposizione delle parole cambiò a un tratto. Egli comandò allora a 36 dei suoi ragazzi di leggere piano le varie righe così come apparivano sulla macchina; e quando essi trovavano tre o quattro parole in fila che potevano far parte di una frase, le dettavano ai quattro rimanenti discepoli, che fungevano da scrivani. La macchina era fatta in modo che, a ogni girata di manovella, le parole cambiavano di posto col rovesciarsi dei cubetti".

Chi così descrive la macchina in questione è Gulliver durante la visita, avvenuta nel corso del terzo dei suoi viaggi, della grande Accademia di Lagado, capitale del regno di Balnibarbi, parte dell’Isola Volante (J. Swift, Viaggi di Gulliver in vari paesi lontani del mondo, con le illustrazioni di Grandville, BUR, 1990). Il libro di Swift venne pubblicato nel 1726. Se la immaginaria macchina descritta da Swift era una macchina "linguistica", molto più ambiziosa era la macchina a cui aveva pensato il matematico inglese Charles Babbage (1792-1871). Nel 1822 il primo esemplare di macchina per il calcolo differenziale era effettivamente costruito. "Io pensavo – scriveva Babbage – che una macchina capace di eseguire isolatamente semplici operazioni matematiche non sarebbe stata di grande utilità, a meno che non si riuscisse a impostarla facilmente a svolgere il lavoro, sia a farglielo svolgere non solo con accuratezza, ma anche con rapidità".

Ancora più ambizioso il progetto, a cui lavorò per trent’anni, che Babbage aveva concepito di una “macchina analitica” a cui fosse possibile "insegnare" il processo mentale del "prevedere". La macchina restò solo a livello di progetto e non venne mai realizzata. Come scrive Bottazzini: "I sogni di Babbage dovevano aspettare circa un secolo prima di materializzarsi nei moderni computers.

Aveva ragione Gordon Brown: Turing avrebbe meritato di meglio.