privacyIl grande fratello quello, ovviamente, di orwelliana memoria è ormai fra noi. A nostra difesa invochiamo la privacy, una parola molto in voga in questi ultimi anni, che con quest’aura anglofona molto figa, sta ad indicare quel diritto alla riservatezza e al riserbo che ognuno dovrebbe avere o gli dovrebbe esser riconosciuta.
Un termine, un concetto così inflazionato che talvolta (spesso) ne sfugge la portata anche minima in tante piccole, piccolissime situazioni, trasformando e riducendo il concetto di “privacy” al solo fastidio rispondere a una serie di risposte e consensi che prevedono quasi sempre l’obbligatoria risposta affermativa.

Carte di credito, bancomat, carte risparmi, telefoni cellulari, telepass, carte prepagate, connessioni internet, solo per citare alcune delle cose più diffuse e usate per ricavare dati, ma anche le prime che ci passano per la mente. Autentici segnalatori dei nostri gusti, delle tendenze, della composizione familiare, delle abitudini, degli spostamenti, delle preferenze, dello stile di guida, segnalando le destinazioni i tempi della nostra giornata professionale e non.
Centinaia di dati in forma numerica, apparentemente innocui, vengono memorizzati  nei server delle varie società. l’abilità poi di ricombinare , assemblare, analizzare questi “numeri” possono rivelare inaspettate informazioni sul proprietari di quei dati. 

Abitudini alimentari, composizione familiare (inclusi eventuali animali), tendenze e gusti, spostamenti, questi i dati più semplici da estrapolare, analisi più complesse combinate con  l’incrocio di più altre “raccolte” possono generare altre e più inquietanti informazioni.
L’analisi di come è configurato un pc (nelle sue componenti sw, hw, personalizzazioni ect) fornisce non solo indicazioni sull’utente ma consente anche di individuare con esattezza l’utenza che accede a un determinato sito, anche se ci si è premurati di anonimizzare gli accessi.

Il muovere il puntatore come fosse un’estensione del dito che scorre sulle pagine di un libro è fonte di indagine da anni da parte di compagnie di operano vendite on line. Insomma qualsiasi attività è monitorate, registrata, memorizzata, tutte le attività di tipo “telematico” vengo, più o meno a ragione, archiviate. L’avvento dei nuovi device mobili non riduce certo questo stato di cose e le compagnie telefoniche si trovano con una corposa collezione di dati da analizzare, interpretare, scandagliare. 

In questi giorni un giovane politico ambientalista tedesco è riuscito a scoprire grazie alla giustizia del suo paese che T-mobile (la compagnia telefonica tedesca) in un semestre aveva archiviato i dati di longitudine e latitudine ricavati dal suo smart phone. Una mole di dati notevoli, visto che la lettura è avvenuta per ben trentacinque mila punti. I dati ora sono stati riportati su di una mappa che è consultabile grazie allo stesso Spitz che li ha resi accessibili liberamente.