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Tasto pirataChe la pirateria sia un fenomeno legato solamente ad un discorso di usufruire di un bene a sbafo è un falso dimostrato da vari studi e da alcuni fatti.

Vari studi si sono alternati in questi ultimi anni ad affermare con più o meno autorevolezza il fatto che è forse il caso di rivedere i meccanismi e le dinamiche con cui i contenuti audio e video, ma non solo, debbano essere distribuiti e pagati.
Un problema che è stato affrontato da molti, ma che pochi hanno avuto davvero il coraggio di rivoluzionare, di reinventare rispetto ai vecchi e consolidati metodi di marketing.
Banale citazione quella di iTunes che abbassando drasticamente i costi, puntando sulle peculiarità del nuovo mezzo di distribuzione offerto dalla rete e su una vastissima offerta ha ridotto drasticamente anziché, come alcuni prevedevano, incrementare la diffusione illegale dei contenuti musicali.
Rimanendo sempre nell'ambito della mela morsicata, come non riconoscere il gigantesco successo dei software, delle app che distribuite a prezzi contenuti e con l'immediatezza tipica della rete ha consentito fatturati notevoli e la creazione di nuovi milionari, oltre ad aumente le fortune della Apple stessa.


Un rapporto della commissione europea si aggiunge ai tanti studi che analizzando il fenomeno della pirateria.
Con un campione di 4600 persone di età compresa tra i quattro cinquant'anni, preso in 10 differenti nazioni, rivela che 68% degli intervistati usufruisce dei servizi di streaming, legalmente o in legalmente, (noN si fa differenza) di questi il 34% con assiduità settimanale.
Nel sondaggio si è evitato il termine "pirateria" per cercare di ricevere il maggior numero di risposte ai questionari.
Non è quindi facile discriminare fra contenuti regolarmente acquistati o illegali, tuttavi vi sono elementi che fanno riflettere.
Fra i motivi che caratterizzano questa scelta della rete come fonte per l'intrattenimento c'è il costo dei biglietti del cinema troppo alto come d'altro canto quello dei supporti DVD, inoltre fra le motivazioni troviamo la disponibilità e la facilità d'accesso.
Un altro dato che emerge, messo già in risalto da una precedente indagine, mostra che una delle principali motivazioni dello scaricamento illegale è il ritardo nella disponibilità legale del film negli altri paesi.
Dallo studio. come sempre accade in questi casi. emergono classifiche, è così in testa nella lista dei più attivi troviamo la Lituania con l'83%, la Romania con il 77% segue quindi la Polonia alla 69% e la Spagna al 65%.
L'Italia si attesta al 58% mentre i migliori, i più "bravi", risultano i tedeschi con il 24% e inglesi con il 32%.
Dallo studio emerge inoltre che tali pratiche sono maggiormente attive, il 68%, da famiglie a reddito basso, inferiore e € 1000 contro un 42% che hanno un reddito che arriva fino a € 2000 al mese.
L'attività di download o lo streaming sembra essere maggiormente praticato nella fascia di età che va dai 16 ai 25 anni, e gli uomini sono leggermente più attivi delle donne.
Fra le risposte possibili nel questionario a motivare le ragioni del download, emerge che un 37% ritiene che il film sia  interessante ma non al punto da pagare per andare a vederli al cinema.
Un 31% sostiene che dal momento che è disponibile on-line gratuitamente e inutile pagare.
Un 30% si trova costretto al download in quanto il film non è disponibile nel proprio paese oppure un 27% perché la distribuzione avviene con ritardo.
La commissione afferma che «anche se il pubblico è molto interessato ai film, il cinema più vicino spesso è troppo distante, e la scelta è sovente molto limitata. L'industria cinematografica europea può aumentare i profitti approfittando dei diversi tipi di piattaforme online che generano profitto, per aumentare la disponibilità dei film e raggiungere un pubblico nuovo».
Un suggerimento che non è poi così campato in aria, e come si diceva in apertura trova concreta dimostrazione con iTunes e la musica.


Nonostante i pianti e le lamentele dell'industria cinematografica, secondo i dati riportati  da  Box Office Mojo, gli introiti del 2013, tenendo conto dell'inflazione, sono superiori a quelli dei primi anni 2000.
E se non bastasse c'è pure il caso di Netflix e Hulu che sebbene distribuscano contenuti legalmente alcuni utenti come quelli australiano, non potendovi accedere per limitazioni imposte sul proprio territorio vi accedono in VPN pagando non solo in servizio per la fruizione dei dei contenuti distribuiti ma sostengono pure i costi della VPN che gli consente di superare i limiti territoriali impostati, divenendo peraltro "pirati".
Insomma come i fatti attestano e in molti affermano, bisogna rivedere i meccanismi di business ed abbandonare l'idea che chiunque acceda contenuti più o meno legali presenti in rete sia solo un taccagno, un pirata ignobile che debba essere perseguito con mezzi repressivi, talvolta esagerati.