Preparazione ciboIl cibo finto e ampiamente usato in ambito pubblicitario, ma in Giappone è una vera e propria tradizione. Un'arte.

Durante le lunghe sessioni fotografiche, prima ancora di ricorrere all'ausilio di Photoshop potrebbe essere più semplice fotografare un piatto, una portata finta, ricreata ad arte per enfatizzare un dettaglio, un elemento piuttosto che fotografare l'originale che magari nel tempo potrebbe perdere le iniziali caratteristiche.
Non è quindi insolito trovare in un set fotografico cubetti di ghiaccio finti, colate di crema al latte che in realtà sono di Vinavil, o altri elementi artificiosi utilizzati per cercare di rendere il soggetto fotografato più appetitoso e desiderabile.
In Giappone agli inizi del 20º secolo si è cominciato a produrre cibo finto da esporre nei ristoranti e successivamente nei supermercati. Una tradizione che sembra aver preso piede come un tentativo di rendere maggiormente comprensibili i menù dei ristoranti agli stranieri sempre più frequenti sul territorio del Sol Levante.
Tuttavia c'è anche una componente comunicativa che gioca a favore di questa soluzione e che punta sul potere espressivo di queste repliche.
Un'idea questa che è ben presente alla Iwasaka Co. Ltd, un'azienda che copre l'80% della produzione di cibo finto in Giappone e dove si è sempre alla ricerca di nuove soluzioni, di nuovi materiali per rendere sempre più vero e realistico il cibo da loro preparato.
Un manipolo di aziende, una quarantina in tutto il Giappone, anche se la maggior parte sono concentrate a Gujo Hachiman provvede a soddisfare le esigenze dell'intero mercato giapponese con un giro di affari stimato tra i 45 e i 65 milioni di euro all'anno.
Un lavoro meticoloso, dove tecnologia ed arte si uniscono per dar vita a prodotti davvero realistici il costo varia da alcune decine di euro fino ad arrivare a 150-200 euro per i piatti più elaborati. Una situazione curiosamente paradossale dove la "copia" e più costosa dell'originale.
Oggi questi speciali piatti, i "sampuru", essendo in plastica rispetto alle prime versioni in cera sono molto più resistenti e quindi il mercato ha subito una certa contrazione che tuttavia è stata compensata da una maggiore domanda di piatti finti da parte dei turisti che non solo vogliono acquistare qualche pietanza come souvenir ma sono anche interessati a visitare i laboratori dove questi piatti vengono prodotti.
Così Gujo ha trasformato le sue industrie di sampuru in una vera e propria attrazione turistica da affiancare al festival di danza e ad alcune vestigia architettoniche del suo passato.